APPUNTI DI SPIRITUALITÀ
Quell’architrave che è misericordia, Don giorgio Carli
IN PRIMO PIANO
Assemblea generale della CMIS, Mariuccia Veronelli
La vita consacrata nella Chiesa: Fondamento comune in una diversità di forme e secondo un processo storico aperto, Christoph Theobald
Sintesi dei lavori di gruppo, a cura della redazione
TEMI APERTI
Battaglia su una cornice senza quadro. Il referendume sulle riforme costituzionali, Angelo Onger

SEGNALAZIONI

CAMMINI DI CHIESA
Lettera del Santo Padre Francesco al cardinale Ouellet

L’OPINIONE
Omelia per gli ottant’anni, Mons. Giuseppe Mani

PASSI DI SECOLARITÀ
Racconto semiserio dei miei esercizi spirituali, Gianfranca C.
Ripensando al mio breve soggiorno in Terrasanta, Elda Geremicca
Sorry, Fabio Domenico Vescovi

 

La rivista INCONTRO si può ricevere versando un contributo annuo di 20,00 € per l’Italia; per l’estero 25,00 € sul c.c.p. n. 55834717 intestato a: C.I.I.S. Conferenza Italiana Istituti Secolari


EDITORIALE

Nel 1906, centodieci anni fa, in Germania nasceva Dietrich Bonhoeffer. Un evento che parla di una vita, di un pensiero, di una storia. Un personaggio che ha inciso nel pensiero e nella Storia universale.
Di Bonhoeffer, teologo e biblista, che pone la preghiera quotidiana, soprattutto la preghiera fatta di ascolto della Parola, in scansione con le ore lavorative, è stato scritto che intendeva la propria vita «non come puro accadere ma come scelta». Non si permette fughe all’indietro, né fughe in avanti, perché «la vita deve essere veramente e totalmente se stessa».
Scriveva in La vita comune: «Anche la preghiera ha bisogno di un tempo determinato. Ma le ore della giornata sono dedicate al lavoro. Solo lì dove ad ognuna di queste attività è dedicato il tempo che le spetta, si vede chiaramente la connessione fra ambedue. Senza il peso e la fatica della giornata la preghiera non è preghiera e senza la preghiera il lavoro non è lavoro».
Bonhoeffer ha avuto la consapevolezza della propria identità, del proprio ruolo nella Storia e nella Storia del tempo.
Sul “palcoscenico” della Storia non ha importanza il ruolo che ci è affidato, che siamo chiamati a svolgere o che scegliamo perché risponde alle nostre sensibilità e competenze. Le mansioni non costituiscono l’essenziale dell’esistenza umana, anche se possono favorire la realizzazione della persona, possono offrire uno splendido apporto alla crescita di ogni comunità.
Non importa neppure la durata del tempo che si impiega a stare sul “palcoscenico”. Per questo ogni vita ha un valore inalienabile, in situazioni di sanità o di malattia, di freschezza e prestanza o di involuzione.
Importa, questo sì, svolgere bene, in pienezza, in tutti i risvolti e sempre con “professionalità” il proprio ruolo, incastonato in quello degli altri. Perché nessuno è solo… Perché la vita non è un monologo.
E non è nemmeno essenziale essere “primari”. Può essere sufficiente, a volte, fare la staffetta, ma essere una staffetta di rappacificazione in una società ferita, bellicosa, aggressiva; essere staffetta di speranza in tempi di paura e di disincanto; essere staffetta della promozione altrui in tempi di arrivismo e di protagonismo.
È inoltre necessario saper cogliere le grida e i lamenti, le gioie e le attese presenti nel contesto ecclesiale e sociale. Chiudersi a riccio perché le difficoltà sono molte ha senso? Fuggire perché gli imprevisti sono troppi è efficace? La “fuga” non apparteneva a Bonhoeffer. Egli ci ha insegnato a vivere ed a morire coraggiosamente. Perché ciò che importa è il “come” si vive. Ossia lo stile di vita.
m.r.z.