APPUNTI DI SPIRITUALITA’
Chiamati in Cristo ad essere segni dell’amore di Dio nel mondo, Mons. Francesco Beschi
IN… FORMAZIONE
Il disagio del vivere dentro e intorno a noi, Arnalda Lucarini
SETTANT’ANNI E (NON) SENTIRLI
La Provida Mater ha settanta anni, Barbara P.
Abbiamo bisogno di una cura estetica… E l’estetista è lo Spirito Santo, Rosanna Marchionni
Nel mondo aspirando alla santità…, Kate Dalmasso
TEMI APERTI
I beni degli Istituti di Vita Consacrata, Mariacristina Vanzetto
L’OPINIONE
Che cos’è la Verità, Angelo Onger
CAMMINI DI CHIESA
Il sogno di Papa Francesco, Fabio Zavattaro
PASSI DI SECOLARITA’
La fantasia del Signore, Agnese B.
DAGLI ISTITUTI
I primi 100 anni dell’Istuto secolare “Volontarie di Don Bosco”, A. F.
ESERCIZI SPIRITUALI
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EDITORIALE
Il 26 marzo 1967 Paolo VI indirizzava «a tutti gli uomini di buona volontà» la Populorum Progressio, l’enciclica dedicata al tema dello sviluppo dei popoli. Si era da poco concluso il Concilio ecumenico Vaticano II, che aveva aperto prospettive universali e tra queste la speranza per la liberazione dalle ingiustizie come presupposto per il riconoscimento dei diritti dei poveri e degli ultimi. L’aspirazione allo sviluppo di tutti i popoli era un chiaro “segno dei tempi”.
Da ciò scaturisce l’impegno etico a vivere la solidarietà, per cui «le nazioni sviluppate hanno l’urgentissimo dovere di aiutare le nazioni in via di sviluppo». E per Paolo VI non era sufficiente uno sviluppo qualsiasi, limitato alla sfera dell’economico; egli indicava uno sviluppo autenticamente umano, integrale. Inoltre affermava che «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace». E che disattendere la giustizia sociale può scatenare la violenza dei poveri, quella che è stata chiamata “la rabbia dei popoli”.
La Populorum Progressio fu salutata come segno di speranza, perché portava in sé la forza di un’utopia: quella di credere in un nuovo mondo, in cui finalmente ai poveri della terra veniva restituita la dignità negata, insieme alla possibilità di accedere a quei beni essenziali che in tanti secoli erano stati loro sottratti dall’ingordigia dei popoli ricchi. E significativa, e non casuale, è stata la data della pubblicazione: la domenica di Pasqua. La Chiesa sceglieva quella data per mettersi dalla parte degli ultimi, per decidere di essere povera con i poveri, per affermare di fidarsi solamente della forza del Vangelo piuttosto che della ricchezza dei mezzi. Ed indicava la strada di una fede operosa che non si spaventa della polvere della storia e sa assumere i problemi concreti del mondo.
A 50 anni dalla pubblicazione, la Populorum progressio mostra ancora la sua profonda attualità. Le condizioni di disuguaglianza si sono aggravate, le distanze tra Paesi ricchi e Paesi poveri sono aumentate e non si riescono a compiere scelte decisive perché lo scandalo della fame e della povertà trovi vie praticabili di soluzione. Si tratta di scegliere la strada di un nuovo modello di sviluppo, la strada dell’accoglienza e del dialogo.
Oggi sono poste in mano a noi queste grandi questioni della globalizzazione, della multiculturalità e del meticciato, delle nuove tecnologie e dello sviluppo possibile, realtà così complesse che sembrano travolgere la nostra possibile comprensione. Ma non sono delle questioni accademiche: esse hanno sempre il volto di qualcuno con cui viviamo e che ci richiamano alla serietà e alla verità delle questioni. Sono problemi che domandano occhi per scrutare ed essere scrutati.
Possiamo chiudere con le espressioni di Paolo VI al termine dell’enciclica: «Voi tutti che avete inteso l’appello dei Popoli sofferenti, voi tutti che lavorate per rispondervi, voi siete gli apostoli del buono e vero sviluppo, che non è la ricchezza egoista e amata per se stessa, ma l’economia a servizio dell’uomo, il pane quotidiano distribuito a tutti… [a voi chiediamo] di rispondere al nostro grido di angoscia nel nome del Signore».
m.r.z.